"Civil Wall",

2015, revolver, back liquid rubber and spray, 22x14x4 cm

multipli

 

 

Il "Muro Civile" si inserisce nello scenario storico del mondo contemporaneo.

Il simbolo della "non comunicazione" tra popoli e potenti viene capovolto nel suo significato: esso non divide ma scioglie in liquame il potere delle armi. L'opera è un grido potente ,  un "cessate il fuoco" mai scontato.

 

Civil Wall,

il primo che viene alla mente nell'immaginario comune è quello di Berlino, simbolo di un mondo fratturato e lacerato dalla seconda guerra mondiale, un mondo diviso tra vincitori e vinti.

A distanza di 27 anni dalla sua caduta il mondo "vanta" numerosi altri muri che si stagliano alti e decisi a simboleggiare l'incapacità del dialogo tra gli esseri umani; l'impossibilità di guardarsi e accettarsi nella propria indipendenza rappresentata dai 2720 km del Berm, eretto dai marocchini in difesa dal Fronte Polisario che lotta dal 1973 per l'auto determinazione del Sahara Occidentale.

Muri dal nome leggero, a voler sminuire la macchia che rappresentano.

La Linea Verde di Cipro, che divide due comunità coesistenti a Nicosia, la greca e la turca: 300 km di "cessate il fuoco" voluti dall'ONU.

Muri eretti a eterna memoria di fatti che abbiamo visto coi nostri occhi nei telegiornali, diventati già storia. le immagini dello scoppio della guerra del Kuwait sono entrate nel nostro immaginario di bambini e dal 1991 circa 190 km di muro tra Kuwait e Iraq vengono definiti "preventivi" nel caso di una nuova invasione.

Come può, in questo scenario di calce mattoni e terra inserirsi il muro civile?

O forse la domanda più corretta è: può oggi un muro definirsi civile?

L'opera sfrutta quello che ad oggi rappresenta uno dei più forti strumenti di "non comunicazione" tra popoli e tra potenti e ne capovolge il significato: muro che non divide ma che scioglie in liquame e vanifica conseguentemente il potere delle armi.

Muro che tronca a metà fucili e mitragliatrici, rendendole inutilizzabili, a tratti ridicole.

Armi vere che diventano ai nostri occhi giocattolo per guerre inesistenti, guerre di bambini in cui alla fine non muore mai nessuno.

L'opera è chiara nella sua semplicità, messaggio di pace e di cessate il fuoco reale, un "gettate le armi" mai scontato.

Opera che si erge a lanciare un messaggio altro, annullando il potere del muro stesso. Opera violenta, penetrante e penetrata che vorremmo vedere accanto alla foto di Benedetta Polignone, come un prequel alla storia d'amore tra una ragazza palestinese e un ragazzo israeliano, che con uno scatto ha frantumato e polverizzato un muro che di civile non ha niente, il muro della vergogna di West Bank.